Non c’è mare ai ponti rossi
Storie di ordinarie disgrazie, disagi e redenzione, perché ogni tanto il dio, come ha mandato tanti di noi a punzecchiare il potere, ogni rara volta, manda un uomo che il mare lo ha in tasca e lo distribuisce come: Don Vittorio Berardi parroco di S. Giovanni XXIII a Mezzocamino – Roma

Intervista a don Vittorio con semplici domande e cose non dette fra intervistatore e intervistato.
Lei è un prete, un prete vero intendo?
Si dal 1989.
E allora perché non se ne sta buono, buono e quieto a pregare in chiesa od in parrocchia con i suoi fedeli?
Ci sto, buono buono, almeno ci provo.
Lo sa vero, che quelli come lei che si mettono in mezzo al sistema che ha già diviso i buoni dai cattivi, i primi dagli ultimi, destano sempre un po’ di preoccupazione e fastidio?
No, non è vero e infatti sono qui.
(Gli vorrei dire, si in “culo al mondo”, nell’estrema periferia di Roma, a qualche chilometro c’è il mare e più in là ci sono le città balneari e ricche che col cavolo che ti ci mandavano, ma mi contengo anche perché le interviste con persone che parlano poco, e tanto fanno, negli anni ho capito che devono procedere desuatamente con altro tono).
Ma da dove viene lei, mi racconti la sua storia di ragazzo poi uomo e infine prete.
Eh ma è una cosa lunga, ho 72 anni, comunque io vengo da Verona come famiglia ma ho vissuto a Roma da ragazzino, sono entrato in Seminario romano maggiore a 22 anni, poi sono stato ordinato sacerdote nell’89 con il cardinal Ugo Poletti. E poi ho fatto tante cose, adesso sono parroco a S. Giovanni XXIII.
E come le è venuta l’ulteriore vocazione di dedicarsi agli emarginati e al disagio sociale?
Ho iniziato all’Appio Latino nella parrocchia ove ero vice, non per scelta ma incontrando tanto disagio, in special modo mamme con bambini soggette a violenza e tanti ragazzi che iniziavano a far uso di sostanze stupefacenti e furono le prime emergenze a cui mi dedicai con la collaborazione di catechisti e famiglie della parrocchia. Ci chiedemmo che cosa fare, poi venni trasferito a Torre Angela (altra periferia a sud-est di Roma e allora ai suoi limiti) e allora mettemmo in piedi un’associazione Onlus si chiama Casa S. Anna era il 2002 e iniziammo l’accoglienza. Per distinguerla dall’attività della parrocchia che era eminentemente catechesica, annunciatrice, educatrice e anche caritativa, ma era una parrocchia, un’istituzione religiosa, ed io non volevo operando in situazioni a volte delicate e difficili, che ci fosse un coinvolgimento o delle connessioni con l’Ente religioso. In più l’essere una onlus ci permetteva di essere protetti dallo stato e poter lavorare con le istituzioni.

codice fiscale 97323520581
E in che cosa consiste questa casa di accoglienza S. Anna nei fatti?
Noi abbiamo costituito questa associazione con un gruppo di amiche e di parrocchie diverse e anche di altre fedi religiose. Abbiamo innanzitutto studiato la situazione, abbiamo elaborato alcuni progetti e poi piano piano abbiamo deciso di aprire una casa accoglitiva di mamme e bambini. Le difficoltà burocratiche sono state tante e nel frattempo abbiamo creato delle case di accoglienza per uomini, che era più semplice. Nel 2005 la prima, nel 2006 la seconda e poi altre; nel 2015 la casa mamme e bambini, quindi oggi abbiamo sei strutture: una accoglie una famiglia per volta intera, una mamme gestanti o con bambini piccoli, le altre uomini sia italiani che stranieri maggiorenni.
Di chi sono le strutture?
L’onlus è in affitto e provvede ai canoni e alle necessità degli ospiti, finanziandosi con il 5 per mille statale e con i tanti contributi e donazioni di amici e autofinanziandosi con pranzi, cene ,iniziative e sempre con la provvidenza a sostenerci e andiamo avanti.
Cos’è un’altra sua storia: la “Casa del pane”.
Una nostra benefattrice ci ha donato un ambiente che era anticamente una locanda in un antico casale medievale (Cenci -Aldobrandini – Borghese – Migliorelli) sulla Via Casilina fronte fermata Torrenova metro C (detto castello di Torrenova e con la annessa – in ristrutturazione – chiesa di S. Clemente del 1600 su progetto di Giovanni Fontana). Volevo fare dei corsi di ceramica ma sentendo tante voci e di amici e di abitanti della zona mi hanno convinto ed indirizzato verso la creazione di un laboratorio per insegnare a tante persone disagiate a produrre con le loro mani: pane, pasta, pizze e avviarle verso tale lavoro. Abbiamo vinto un bando della Regione Lazio e siamo partiti. Ad un primo corso di trenta persone e tra cui stranieri e donne con lo shador che non conoscevano neanche la lingua, psicolabili e diversi che ha avuto un grande successo. Il programma si è dovuto fermare per mancanza di maestri fornai insegnanti che è una categoria poco incline ad insegnare e rivelare la loro “arte bianca”. Adesso ci stiamo promuovendo per continuare i corsi, rivolgendoci affinché ci soccorrino, ai maestri fornai.
Finisco la breve intervista in un incontro di oltre un’ora.
E che la bontà vera come sempre disarma, mi aspettavo si un prete, ma di quelli tosti e forti, pieni di carità e di ego (che serve per le situazioni problematiche e difficili). Invece mi trovo di fronte ad uno che senza mai dire “io” in tutto il corso dell’intervista ha costruito una grande catena della solidarietà e altro prospetta. Uno che hanno “buttato” 18 anni fa all’estremo di Roma a dir messa su un marciapiede e poi, e tuttora, in dei prefabbricati di fronte a palazzine e strutture enormi di necessari interventi abitativi (!). Uno a cui non riesco a fare, con il mio “io” inversamente egocentrico, una serie di domande che mi ero preparate e scritte. Quest’uomo è difficile è un uomo semplice che sembra appartenere ad altri, ad altro. Ti risponderebbe – e l’ho capito – con uno sguardo ed un sorriso.
E don Vittorio è un eclettico e non è che se ne stia come dice “ buono, buono”: ha fondato un giornale per la sua parrocchia che ne illustra il percorso, il cammino, le opere quotidiane e gli scopi a lungo termine, fa weekend con i suoi ragazzi in altre regioni e sempre con la coesione e l’amore conviviale e sereno nella fede organizza incontri sociali ed è un vulcano di iniziative.
Se andate un qualsiasi giorno davanti ai suoi prefabbricati religiosi vedrete decine di persone in prevalenza donne, e non faticate molto a vedere in loro la ricerca di aiuto: psicologico o fattuale di servizi e cibo. Per non farsi mancare nulla ha organizzato un Servizio di ascolto e dialogo con esperti socio-educativi e aperto non solo agli individui ma anche alle famiglie e alle loro problematiche. È un pastore d’anime, ma strano, non va solo alla ricerca delle pecorelle smarrite del suo gregge, no, mette dentro anche quelle di altre “razze e fedi”. Ma non gli andremo a chiedere: “a Vittò ma do annamo a finì così, si mischiamo tutto”? Ci direbbe solo: “eh ma allora”! Ad intendere che non abbiamo appreso nulla del suo amore in quel Cristo.